lunedì 29 novembre 2010

Storia della Pena di Morte: La letteratura sulla pena capitale

La letteratura si è occupata della pena capitale in molti modi diversi; dai trattati filosofici sull’ammissibilità o meno della pena di morte, ai testi giuridici fino alle Carte Costituzionali degli Stati; noi vogliamo offrire una panoramica degli scrittori e dei pensatori di tutto il mondo che hanno scritto sulla pena di morte estraniandola dal contesto prettamente giuridico o tecnico, per guardarla sotto punti di vista diversi. Non sarebbe possibile fare una lista di tutti gli scritti in materia, per cui la scelta di proporne solo alcuni e soprassedere su altri, è prettamente derivata dai gusti personali. Abbiamo volutamente tralasciato tutti gli scritti Filosofici e Religiosi che verranno trattati a parte, nell'analisi del pensiero occidentale sulla pena di morte e nella trattazione del pensiero religioso.

Fëdor Dostoevskij “L’Idiota” 1868/1869.  F. Dostoevskij fu condannato a morte nel 1849 dopo essere stato giudicato colpevole di complotto; portato di fronte al plotone di esecuzione la condanna venne commutata in 4 anni di lavori forzati in Siberia. Dopo quell’esperienza terribile la malattia dello scrittore si aggravò ed egli percepì l’esigenza di raccontare ciò che aveva vissuto in quelle terribili ore attraverso i suoi personaggi. Il protagonista del romanzo “L’Idiota”, il principe Myskin racconta così un’esecuzione capitale alla quale aveva assistito in Francia :” il dolore principale, il più forte, non è già quello delle ferite; è invece la certezza, che fra un’ora, poi fra dieci minuti, poi fra mezzo minuto, poi ora, subito, l’anima si staccherà dal corpo, e che tu, uomo, cesserai irrevocabilmente di essere un uomo. Questa certezza è spaventosa. Uccidere chi ha ucciso è, secondo me, un castigo non proporzionato al delitto. L’assassinio legale è assai più spaventoso di quello perpetrato da un brigante. La vittima del brigante è assalita di notte, in un bosco, con questa o quell’arma; e sempre spera, fino all’ultimo, di potersi salvare. Ma con la legalità, quest’ultima speranza, che attenua lo spavento della morte, ve la tolgono con una certezza matematica, spietata. Leggete ad un uomo la sentenza di morte, e lo vedrete piangere o impazzire. Chi ha mai detto che la natura umana può sopportare un tal colpo senza perdere la ragione? A che dunque questa pena mostruosa e inutile? Di un tale strazio anche Cristo ha parlato… No, no, è inumana la pena, è selvaggia e non può nè deve esser lecito applicarla all’uomo”.
Franz Kafka “Nella Colonia Penale” 1919 In questo racconto Kafka fa descrivere ad un ufficiale una macchina in uso nella colonia per eseguire le condanne a morte che, prima di uccidere il condannato attraverso un sistema di brutale violenza, gli scrive la sentenza di condanna sulla schiena. Anche nel romanzo incompiuto “Il Processo” l’autore descrive il lungo cammino verso la morte di un impiegato di banca inconsapevole del motivo della sua condanna.
Alber Camus “Lo Straniero” 1942. Il romanzo dello scrittore Francese è particolarmente importante perché affronta il tema della pena di morte come elemento di un processo interiore che culmina in una riflessione dolorosa sull’esistenza umana; questo romanzo ha influenzato in modo decisivo tutta una generazione di giovani scrittori ed ha contribuito a sensibilizzare le coscienze sulla pena capitale, in un momento storici di particolare gravità. Considerato un capolavoro assoluto del “Romanzo dell’assurdo” questo scritto ha una grandissima forza narrativa nel trascinare il lettore a riflettere sulle ultime ore di un condannato a morte.
Victor Hugo “L’ultimo giorno di un condannato a morte” 1829. In questo romanzo l’autore racconta le ultime ore di vita di un prigioniero condannato al patibolo; il lettore non sa nulla del crimine commesso da quest’uomo perché ad Hugo non interessa e non si conosce nulla di quest’uomo perché in lui è la somma di tutti i condannati a morte. La vita è data da Dio e solo da Dio può essere tolta, non c’è nulla di umano nella pena di morte se non il condannato ed i suoi sentimenti. Il condannato riesce a procurarsi dei fogli sui quali scrive ciò che prova durante la prigionia; la tortura dello scorrere del tempo verso la morte è ciò che risulta più vivido nel lettore ed anche più commovente. Il tempo perde il suo significato originario ed umano per trasformarsi in un orribile ed inarrestabile mostro vorace. "Gli uomini che giudicano e che condannano proclamano la pena di morte necessaria, prima di tutto perché è importante scindere dalla comunità sociale un membro che le ha già nociuto e che potrebbe nuocere ancora. Si trattasse solo di questo, il carcere a vita basterebbe. Perché la morte? Voi mi obiettate che da una prigione si può scappare? Fate meglio la guardia...niente carnefici dove bastano carcerieri." p.46.


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